È vero, l’automobile rappresenta una conquista di libertà acquisita dalle masse sostanzialmente dal dopoguerra. La libertà di raggiungere mete lontane in propria autonomia non è poco anche se ad un prezzo ovviamente, ma questo paradigma è stato ben introdotto dall’industria, ben accettato dai governi e felicemente dai cittadini. Per essere liberi in senso motorio ci sono dei costi individuali a cui fare fronte, sostanzialmente questi:
– Costo dell’auto ovviamente
– Bollo
– Assicurazione
– Revisione
– Carburante
– Manutenzione
Dopoché puoi recarti ovunque tu lo desideri, stupendo. Ma muoversi in auto è una mobilità individuale ed egoistica non cooperativa come può essere il trasporto pubblico oppure l’intermodalità, ovvero per andare da A a B io posso decidere in totale autonomia il percorso, quando partire, le fermate e quando arrivare. In questo splendido paradigma tutti vogliono ottimizzare e personalizzare il proprio percorso, ne deriva che questa libera scelta in determinate circostanze provoca un aumento dei flussi e della congestione con conseguente diminuzione della velocità, considerando anche che questo paradigma vige anche all’interno di una maglia urbana capiamo che la congestione diviene una conseguenza scontata.
Sarebbe intuibile quindi che costruire nuove strade o allargare a nuove corsie, quindi aumentare la portata del traffico risolverebbe la congestione, e invece no, di fatto si genera solo un paradosso.
Nel paradosso di Braess si evince che:
«Per ogni punto di una rete stradale, ci sia dato il numero di automobili in partenza e la loro destinazione. In queste condizioni si vuole stimare la distribuzione del flusso di traffico. Se una strada è preferibile a un’altra dipende non solo dalla qualità della strada, ma anche dalla densità del flusso. Se ogni autista sceglie il percorso che ritiene più favorevole, il tempo di percorrenza risultante non è obbligatoriamente quello minimo. Inoltre, è dimostrabile con un esempio che un’estensione della rete stradale può causare una ridistribuzione del traffico che si traduce in singoli tempi di esecuzione più lunghi»
Infatti, parlando in generale, un comportamento egoistico di individui che popolano un sistema non cooperativo può risultare poco sociale.
Di fatto il modello dominante che tutt’oggi abbiamo, sostanzialmente è stato importato dagli USA vale a dire di “fare tutto con l’auto”. Esso deriva da diversi fattori che si sono incastrati bene tra loro dal dopoguerra, ovvero l’urbanizzazione modello sprawl, la costruzione di super strade che rovesciano enormi flussi nelle città, il modello città down town come centro del business in genere. Quindi residenza distante > strade per andare al lavoro > lavoro in città > ritorno
Modello spinto dalle case automobilistiche, l’industria del petrolio, l’industria delle costruzioni (infrastrutture e immobiliare), la finanza.
Questa COMBO ha prodotto sostanzialmente il modello urbano americano e di conseguenza il tipo di trasporto, l’auto e sostanzialmente solo l’auto dato il massivo consumo di territorio a bassa densità.
Lo sprawl urbano americano è davvero interessante per comprendere l’esigenza innata degli americani che in gran parte è figlia del modello dello sprawl anglosassone.
Lo sprawl è abitato dal NIMBY (Not In My back Yard), ossia non nel giardino che ho dietro casa MIA, in case unifamiliari con giardino e garage è tutto uguale, schematico ripetitivo, sterminato, regolato da una zonizzazione che non prevede nemmeno l’apertura di un negozio o di un edificio a più piani. È un luogo prettamente residenziale destinato alla classe media, bianca, benestante, classista, punto.
Ecco che da questo profilo antropologico urbano ne consegue un comportamento piuttosto obbligato, prendere l’auto per… recarsi al lavoro per chilometri fino a down town attraverso le enormi highway, fare la spesa il sabato nel centro commerciale, basta. Hai gia consumato tutto il tempo che ti rimaneva in auto date le enormi distanze da coprire per qualsiasi cosa tu debba fare all’esterno della tua casa unifamiliare nel bel mezzo dello sprawl.
In merito allo sprawl consiglio questi video, Radiant City che è un bellissimo docufilm che fotografa in profondità la vita nello sprawl >
E dal canale di City Beautiful >
Nella nostra piccola Europa e in Italia ovviamente questo modello auto-centrico è arrivato come un’onda negli anni 60 dove però le città non hanno sprawl, ma sono ad alta densità con quartieri periferici semmai a blocchi, quindi le distanze sono comunque ridotte, eppure hanno infrastrutturato, strade, tangenziali e superstrade fin dentro il centro urbano solo a misura di auto come se altri mezzi di trasporto non fossero mai esistiti, inebriati dalla spinta del modello di trasporto così modernista abbiamo spazzato via tutto il resto. Il risultato? La congestione urbana.
Congestione dovuta sostanzialmente anche da un altro fattore piuttosto inquietante, vale a dire il numero di veicoli procapite. In Italia abbiamo un triste record che quello di 64 (circa) automobili per 100 persone. I dati in merito si possono raccogliere un pò ovunque. Questo brutto dato combinato con la carenza di infrastrutture urbane alternative all’auto (indicato dall’indice di modal split) diventa un problema enorme in termini di qualità della vita e di mobilità urbana.
Un esempio plastico è il dato di Pescara che nonostante fosse in gran parte in pianura e con una rete ciclabile in attuale sviluppo, (di fatto è possibile percorrere in bici da Francavilla al Mare fino a Montesilvano per fare solo un esempio) e un trasporto pubblico comunque presente ma da migliorare, l’indice di auto procapite è pari a 62 per 100 abitanti. Quindi qualche passo Pescara lo ha fatto verso una mobilità alternativa all’auto in questi ultimi anni ma i numeri rimangono sempre impietosi come quelli della congestione anche se in città è un brulicare di bici.
Qui riporto l’articolo de Il Pescara.
Oltre al numero procapite io mi soffermerei anche su un altro dato poco discusso che è la DISTANZA PROCAPITE PERCORSA, vale a dire:
– Quanta strada percorriamo con l’auto tutte le volte che usciamo di casa?
– Quante volte usiamo l’auto in un giorno?
Se percorriamo anche poche centinaia di mt per una qualsiasi commissione più volte al giorno moltiplicato il numero procapite che ci appartiene solo come dato empirico, il risultato non può essere che la congestione. Se uso l’auto poche volte a settimana per lunghe distanze allora ne faccio un utilizzo non compulsivo. Alla base di questo dato fondamentalmente c’è l’abitudine, poi ci sono anche altri fattori, ma si sa, siamo un popolo che ama le comodità.
Ricordo che le città che oggi definiamo virtuose, green, smart, a misura d’uomo, accessibili etc etc… quelle solite del nord europa per intenderci, hanno subìto nello stesso periodo storico l’invasione massiva di auto e infrastrutture ma hanno deciso che quel modello non era salutare e vivibile e hanno pian piano cambiato la rotta innescando un vero e proprio processo di riconversione urbana.
Un esempio di trasporto di una città a scalare ce lo può dare questo video via Twitter di @modacitylife dove è possibile vedere diversi livelli di trasporto, bus, tram, ciclabili di Amsterdam.
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Sui concetti di città green, smart, sostenibile e bla bla bla… se vi va di divagare un pò c’è un bellissimo video di Mikael Colville-Andersen sulle molteplici definizioni possibili di città! Narrazione intelligente, pungente e innovativa. Very Cool!
Sulla congestione quindi, una mano la può dare il paradosso di Downs-Thompson che dice:
la velocità di equilibrio del traffico automobilistico in una rete stradale è determinata dalla velocità media “porta a porta” di un viaggio equivalente con un mezzo pubblico.
Gia questa definizione ci fa intuire che il modello appena descritto sarebbe fuori scala infatti se per mantenere la stessa velocità tra mezzo pubblico e mezzo privato aumenti la capacità stradale ottieni più congestione e traffico indotto, ai danni del trasporto pubblico che man mano va sempre più deteriorandosi perché la sezione egoistica sarà sproporzionata a quella cooperativa quale può essere il trasporto pubblico.
Il modello di trasporto a cui fare riferimento è quello che definisco della città a scalare, sistema che in Olanda o Danimarca applicano bene grazie anche alla morfologia del territorio. È rappresentabile da una figura a cerchi concentrici che indicano le priorità e i permessi di tutta l’utenza della mobilità.
Descrivendo il modello in modo sommario, al centro, dove la densità (non solo quella abitativa ma anche spaziale e di flussi) è alta e le distanze sono brevi, si da così la precedenza infrastrutturale a pedoni, bici, trasporto pubblico, alle auto si impongono restrizioni con restringimenti, ztl, rallentatori, zone 30, ultime nelle precedenze rispetto a tutti gli altri utenti della strada.
Nella fascia subito esterna al centro si restituisce qualcosa all’auto in termini di spazio e velocità fermo restando le priorità per le altre utenze.
Mentre nella zona periferica, l’auto ha più velocità ed il trasporto pubblico è più lineare e veloce.
Al di fuori della periferia nell’hinterland su estensione regionale si fa un grande uso di nodi, una fitta rete che connette in modo del tutto intermodale (trasporto bici su ogni mezzo, sistemi di sharing a tutti i livelli) varie forme di trasporto pubblico, e l’auto viaggia veloce su strade a scorrimento e autostrade. In modo da poter evitare di prendere l’auto anche per coprire lunghe distanze.
Sostanzialmente questo modello a scalare è aderente al paradigma di Downs-Thompson dove ovunque ci si trovi ottieni orientativamente gli stessi tempi e la stessa velocità di percorrenza tra mezzo privato e mezzo pubblico.
L’immagine sottostante riassume graficamente questo concetto di città a scalare.
Questa narrazione della libertà acquisita con l’auto è ormai compromessa, di fatto siamo alla congestione urbana sistematica, piuttosto serve per porci una domanda fondamentale, e che pochi avanzano?
La domanda è: le tasse presenti nei costi, non potrebbero essere utilizzate in parte per destinarle al trasporto alternativo rispetto all’auto?
Vale a dire la libertà acquisita con il trasporto individuale restituisce anche una propria quota, a favore del trasporto cooperativo e ciclabilità, quota non solo in termini di finanziamento ma soprattutto di spazio e infrastrutture.
Sarebbe un volano di risorse sempre pronte a cui attingere e concertate nelle misure di studi di fattibilità e pianificazione di un trasporto a scalare.