Gli spazi del desiderio sono una forma grezza ed elementare ma altamente risolutiva di ciò che il pianificatore non ha previsto. Rappresentano semplicemente una esigenza ben precisa che i cittadini spontaneamente attuano con strumenti di recupero, oppure tracciano semplicemente linee del desiderio attraversando delle aree che il pianificatore non aveva pensato.
Ecco che emerge una intera attività distribuita qua e la per la città, attività che l’urbanismo dovrebbe studiare ed analizzare, ossia le strette esigenze che vengono dai cittadini. Ne diviene una vera e propria materia di studio forse è più importante della pianificazione stessa calata dall’alto. Questo oggi accade ma trova ancora pochi casi di applicabilità.
Lo sviluppo delle città è spesso in mano alle logiche della speculazione e contro il benessere dei suoi abitanti, è ad oggi la forma più primitiva di sviluppo rimasta nell’era digitale e della tecnologia intelligente.
È l’unico settore arretrato che viaggia all’ interno dell’epoca moderna, ed è proprio la città e questo fa rabbrividire. Abbiamo evoluzioni tecnologiche su tutti i settori, li abbiamo sotto gli occhi di tutti, senza che li si elenca, offrono maggiore fruibilità, ergonomie, accessibilità. sicurezza, connettività, programmazione, comodità, etc etc… ma l’unico settore che non evolve e quindi non migliora la qualità della vita/servizi è? Già, proprio dove viviamo.
Una sequenza di immagini che ritraggono la città creata dal pianificatore, si denota la totale assenza di spazi pubblici di prossimità ma solo sviluppo a favore della cubatura forzata.
Le linee del desiderio sono un concetto sviluppato da Mikael Colville-Andersen a cui questo blog si ispira per gran parte della narrativa, datosi che parliamo di uno dei migliori narratori delle città. Puoi vedere questo suo lavoro analitico diviso in tre parti qui in un vecchio post dal suo blog. Mentre questo è un suo post su Twitter del 2014 che ben fa comprendere cosa sia una linea del desiderio. https://x.com/colvilleandersn/status/507066907930132480?lang=bg
Il freno a mano tirato, anzi “l’involuzione” è storica si sa, ha una radice ben nota che parte dal dopo guerra e abbraccia diverse leve, la cubatura, l’ingegneria del traffico, la speculazione, le infrastrutture erc… il cosiddetto “modernismo” insomma, ma di certo possiamo intuire come ha trasformato questo “modernismo” le città utilizzando a dismisura queste leve?
Regresso urbano, città autocentrica, problemi sedimentati, città bunker. Il danno è fatto…
L’unica soluzione ad oggi è il recupero degli spazi di risulta o inutilizzati da restituire alla socialità, alla vivibilità. “Ruirbanizzare” è l’imperativo unico in questa condizione. Azioni di spontanee di riorganizzazione provengono proprio dagli spazi del desiderio che in una ottica collettiva ed organizzata si trasformano in Urbanismo Tattico. Questi spazi vanno tutelati, compresi e implementati.