Urbanismo

LA SPAZIALITA’ DEL PEDONE ~ L'antropologia immutata del pedone "homo multidirezionalis" ››

PH: Timon Studler

Il Pedone è l’unico abitante urbano che si trasporta ad avere una spazialità tutta sua nella mobilità, questo in teoria, in pratica invece deve attenersi alle regole urbanistiche. Ma la gestione della spazialità che è insita come comportamento ancestrale, emerge comunque oggi in ogni ambito. Il fatto di cambiare repentinamente direzione, tornare indietro, fermarsi, correre… sono azioni che fanno parte della scrittura del nostro DNA in quanto proveniamo da tempi evolutivi che ci costringevano alla caccia per la sopravvivenza e questo ci porta a spaziare come vogliamo nel nostro habitat e quindi dominare gli spostamenti, dominare il nostro spazio in tutte le direzioni e velocità.

Homo erectus

Non stupiamoci quindi quando il pianificatore inserisce infrastrutture in condivisione come ciclabili sui marciapiedi delimitate solo da una striscia pitturata a terra e vedere pedoni che la attraversano all’improvviso, oppure distrattamente senza guardare, semplicemente per il fatto che il marciapiede è lo spazio attribuito nell’epoca moderna come luogo del pedone. In questo spazio di conseguenza il pedone si sente per natura ancestrale dominatore e dimentica ciò che il pianificatore ha introdotto magari successivamente nel suo spazio cioè una disgraziata pista ciclabile.
I conflitti che ne emergono sembrano dare torto ai pedoni ma nei casi in cui gli spazi sono condivisi non facciamo altro che assistere ad una pessima pianificazione urbanistica.

Tecnica urbanistica: ciclabile su marciapiede

Pedone libero della sua spazialità

Le due spazialità sono si incompatibili e quindi vanno separate ma vanno tenute altresì contingenti per per scalabilità dei “valori di trasporto”, infatti dopo il Pedone, che è alla base del trasporto urbano, viene subito la bici, che ha uno svantaggio minimo rispetto al pedone in termini di libertà di movimento, la bici infatti è costretta a seguire una direttrice fissa, quella della ciclabile, non può fare movimenti repentini, cambi di direzione, inversioni rapide come fa il Pedone, per ovvi motivi di mezzo meccanico e di contesto urbano.

La migliore spazialità nello spostamento è del pedone

Una distanza ancora maggiore di svantaggio rispetto alla bici ce l’ha il traffico motorizzato, che è costretto a muoversi all’interno di uno schema rigido ben preciso, quindi bici e pedoni risultano essere più vicini tra di loro nella scala dei valori del trasporto, ecco perché nella giusta pianificazione urbanistica, ciclabili e marciapiedi dovrebbero essere sempre contigui, ben separati e mai condivisi

Piste ciclabili e marciapiedi sempre attigui

Nella condizione attuale molte città hanno marginalizzato i pedoni costringendoli a veri e propri percorsi di sopravvivenza urbana dove il dominio dell’auto ha eroso ogni spazio pubblico. Questa marginalizzazione che il pianificatore applica è il frutto della cultura auto-centrica sviluppatasi in modo esponenziale dal dopo guerra ad oggi, e con triste considerazione l’Italia si trova ancora nel pieno di questo paradigma. Un esempio lampante lo possiamo denotare in questa immagine sottostante dove a fronte di una distesa di asfalto dedicata alle auto è stato previsto dal pianificatore in maniera piuttosto bizarra lo spazio pedonale indicato da linee angolari, una vera dittatura iconografica che relega il pedone a silenzioso subalterno all’automobile.

La bizarra linea delimitatrice dello spazio pedonale.

In queste altre immagini sottostanti si evince come il pianificatore abbia forzato il percorso dei pedoni a causa della costruzione di un nuovo incrocio per dare precedenza progettuale alle automobili. La linea rossa è lo schema scomodo per i pedoni del pianificatore, la linea verde rimane la linea del desiderio che alla fine tutti i pedoni fanno nonostante non vi sia più la rampa che è stata appositamente eliminata e che prima congiungeva un percorso logico di chi va a piedi, in carrozzella o trasporto bimbi in carrozzono. Interessante bizarrìa è l’intersezione delle lineee del traffico con quelle pedonali, ma crediamo sia pura arte urbana.

Esempio di confusione urbanistica ai danni del pedone.

 

È quasi normale assistere a comportamenti non in linea con le regole da parte dei pedoni proprio perché la condizione ancestrale di Pedone è incompatibile con lo schema urbano che spesso abbiamo. Schema urbano che spesso viene spontaneamente modificato dai cittadini stessi con scorciatoie che ne ottimizzano il percorso, oppure spazi pubblici improvvisati che non sono altro il sintomo di una esigenza non considerata dal pianificatore. Ovvero le linee e gli spazi del desiderio.

Spazi del desiderio, urbanismo tattico dal basso

In passato le città invece erano di solo dominio dei pedoni e queste problematiche non esistevano basti vedere alcuni filmati di fine 1800, inizio 1900, quando le strade brulicavano di soli pedoni, biciclette e qualche mezzo di trasporto su ruote come tram, calessi e le prime automobili completamente in minoranza e sottomesse alle precedenze dei pedoni, scenario che oggi è completamente ribaltato con la segnaletica stradale che “concede” attraverso le strisce pedonali unico spazio di attraversamento della strada.

Città del Nord Europa 1890

Pedoni e biciclette dominavano tutto lo spazio urbano e le poche auto si adeguavano

Questo paradigma contemporaneo auto-centrico, non ha fatto altro che reprimere tutti gli spazi e quindi la spazialità che i pedoni conservano nel nostro lontano paradigma. Recuperare città con il DNA pedonale è una visione avanguardista per il nostro tempo, che si contrappone alla città automatizzata digitale, controllata, iper-funzionale, nel nuovo schema emergente dell’intelligenza artificiale.

Tornare indietro alle città del 1800, riscrivere quel DNA con le esigenze contemporanee è la pratica che pochi trattano, se non alcuni trend della scuola di pensiero del new urbanism e affini, in questo senso si consiglia la visione dell’autore Mikael Colville-Andersen con il suo contenitore TV e Web, The Life-Sized City che in merito descrive ampiamente i modelli di città a cui questo articolo si riferisce.